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Dipingere la realtà



«Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un divenire ecc.».

GRAMSCI


Non credo alle «leggi della natura» in senso metafisico, valide una volta per sempre, per l'eternità.

Dell'idealismo accetto solo l'affermazione che la realtà del mondo è una creazione dello spirito, escludendo la formulazione filosofica speculativa (la scienza delle categorie e delle sintesi a priori dello spirito).

Ogni ideologia, espressione della struttura di una determinata civiltà o società, si modifica col modificarsi della civiltà, e quindi nella storicità, una caducità di tutte le ideologie.

Quando Engels dice che «l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali» ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva.

Un soggettivo che si universalizza. Io conosco oggettivamente in quanto la mia conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario.

Un'oggettività in sè, che esiste anche al di fuori dei rapporti con l'uomo, non mi interessa. Perciò come pittore non mi accanisco con l'oggetto. Che cosa è l'oggetto in sè? Non mi interessa.

Sono i miei rapporti con l'oggetto che invece mi interessano. Perché sono i miei rapporti con la vita, con la realtà di ogni giorno. La realtà muta, i miei rapporti cambiano, io sono nel divenire.

Non un divenire sul «tutto scorre» e basta, ma un divenire sul «conoscere per agire, agire per modificare, modificare per essere modificati».

Su questi scambi che sono vivi e continui (io credo a una nuova e futura società), in uno spazio non libero ma carico di eventi e di potenziale energetico, si muove la mia conoscenza con l'oggetto.

Quale l'equivalente figurativo di tale conoscenza della realtà?

Non su una tridimensionalità euclidea (tela di fondo indifferente agli oggetti che si disegnano, spazio libero che permette di operare delle distinzioni nette, di contare, di astrarre), ma su uno spazio dinamico, concreto-sostanziale (le differenti direzioni e situazioni si distinguono qualitativamente le une dalle altre in quanto ad esse si collega una diversa accentuazione di significato).

Tutti i miei problemi sono stati sul colore e sulla linea. Liberare il colore dalle vecchie risonanze. Ricerca di un colore timbrico (risonanza come coesione, non come dispersione). Un rosso che dica che l'uomo è vivo. Un bianco, un giallo, un verde che dicano che l'uomo è vivo qui sulla terra. E le linee sui potenziali, significanti.

Perché dico «Cantiere», «Squero», «Dragamine e faro»? Mi si chiede una certa reperibilità visiva e su quella «certa reperibilità» aristotelica, (conoscenza = visione), la polvere dorme tranquilla da secoli. Io parto da una realtà in movimento e do una realtà in movimento. La scossa che io provo, la ripropongo. E il mio quadro serve. Non per essere appeso e contemplato con distacco.

Armando Pizzinato



(in «Il Mattino del Popolo», Venezia, 18 aprile 1948, p. 3)



Testi preparatori conosciuti

- un foglio dattiloscritto senza il titolo e la citazione (incompleto)

- cm. 29,6 x 21

- Archivio Armando Pizzinato, Venezia

- 2 fogli dattiloscritti (senza il titolo e la citazione)

- ciascun foglio cm. 29,6 x 21

- Archivio Armando Pizzinato, Venezia

- 2 fogli dattiloscritti

- ciascun foglio cm. 27,6 x 22,1

- Archivio Armando Pizzinato, Venezia

- 2 fogli dattiloscritti

- ciascun foglio cm. 27,6 x 22,1

- Archivio Armando Pizzinato, Venezia



Testo pubblicato in

- Giuseppe Marchiori, Pizzinato. Opera grafica, Pordenone, Centro Iniziative Culturali, 1973, pp. 41-42

- Marco Goldin, Pizzinato, Milano, Electa, 1996, p. 239-241


 

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